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Diritto di asilo

Le medesime norme si applicano anche agli “apolidi” (cioè a quelle persone prive di nazionalità o cittadinanza) che per gli stessi motivi, non vogliono fare ritorno nel Paese nel quale avevano precedentemente la dimora abituale. Anche nel caso in cui non vi fossero gli estremi per attribuire lo status di “rifugiato” ad uno straniero, qualora quest’ultimo corra un grave pericolo nel suo paese, può essere prevista una particolare tutela denominata “protezione sussidiaria”. In entrambi i casi si parla di “protezione internazionale”.

Il diritto di asilo è annoverato tra i diritti fondamentali dell’essere umano (art. 14 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, secondo cui “Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”), riconosciuti e tutelati dall’ordinamento giuridico italiano; la Costituzione italiana prevede il diritto di asilo all’art. 10, comma 3, il quale stabilisce che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

La definizione generale di “rifugiato” è entrata nell’ordinamento italiano per effetto della legislazione ordinaria che, recependo integralmente la Convenzione di Ginevra del 1951, offre una nozione universalmente riconosciuta di “rifugiato internazionale”, secondo la quale è considerato rifugiato colui che nel proprio Paese è “perseguitato” per motivi politici, religiosi, etnici o di nazionalità, di razza o ha comunque ragionevoli motivi di temere per la propria vita o di subire violazioni dei diritti umani.

Ai sensi della Convenzione di Ginevra è, quindi, considerato rifugiato chi “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese”.

Il rifugiato gode della cosiddetta “protezione internazionale”. Ai fini della valutazione del riconoscimento dello status di rifugiato, gli atti di persecuzione devono essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una grave violazione dei diritti umani fondamentali (ad es., atti di violenza fisica o psichica, provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio, azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie etc.).

Il timore di persecuzione deve essere ragionevolmente “fondato”, dovendo sussistere rilevanti e sufficienti elementi oggettivi per ritenere che il soggetto sia effettivamente a rischio di persecuzioni nel proprio Paese, indipendentemente dal fatto che le abbia subite o meno nel passato.

Le persecuzioni devono consistere in minacce alla vita, all’integrità psico-fisica o alla libertà personale, ovvero in atti sufficientemente gravi da costituire violazioni dei diritti umani fondamentali.

Il Diritto dell’Unione Europea ha inoltre introdotto la figura della “protezione sussidiaria”, che rappresenta una forma di protezione internazionale a carattere secondario ed integrativo rispetto a quella dell’asilo politico: è da considerarsi beneficiario della protezione sussidiaria il “cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine (o nel Paese di domicilio se apolide), correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno”; ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati “gravi danni”: la condanna a morte; la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano; la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.